Ci sono film che non corrono, non gridano, non inseguono lo spettatore.
Bentu, di Salvatore Mereu, è uno di quei film che restano fermi. E proprio per questo, parlano più forte. È un cinema che lavora per sottrazione, che sceglie la lentezza non come limite, ma come dichiarazione di poetica.
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Il paesaggio come tempo interiore
Siamo nella Sardegna rurale, in un tempo sospeso. Non importa esattamente quando.
Quel che conta è l’aria secca, il sole che spacca le pietre, e un contadino che aspetta il vento per poter terminare il raccolto. Il “bentu” che non arriva è il vero protagonista: invisibile, irrinunciabile, necessario.
L’attesa del vento diventa attesa della vita, o forse della fine di qualcosa. Tutto si muove lentamente, eppure ogni gesto ha peso, ogni parola è misurata, ogni silenzio è narrativo.
Un cinema radicato e ostinato
La regia di Mereu non rincorre il pubblico. Non cerca compromessi.
È un cinema fiero delle proprie radici, che guarda ai ritmi del mondo contadino con profondo rispetto, senza nostalgia forzata né estetizzazioni da cartolina. La macchina da presa si muove poco, osserva, ascolta, si mette al passo con la terra.
La narrazione si regge su pochi elementi: un uomo anziano, il suo campo, un ragazzo che lo guarda con ammirazione mista a inquietudine. Basta questo. Anzi: non serviva altro.
Tradizione e inquietudine
C’è una tensione sottile, mai esplosiva, tra ciò che è destinato a sparire e ciò che vorrebbe restare.
La figura del vecchio contadino è quasi archetipica: resiste al tempo, alla modernità, al cambiamento.
Eppure, dietro la sua forza, si intravede qualcosa di fragile. L’ostinazione, quando diventa solitudine, può trasformarsi in trappola.
Il giovane che lo osserva non capisce tutto, ma intuisce che quel modo di vivere, così saldo e immobile, non ha più spazio nel mondo che avanza.
Il silenzio come atto narrativo
Bentu è un film fatto anche di pause, di silenzi pieni. Non c’è fretta di spiegare, né bisogno di riempire ogni spazio.
Questo lascia allo spettatore la libertà di immergersi, oppure no. Di lasciarsi portare dal vento — se arriva — oppure di restare bloccato in attesa. In ogni caso, il film ti chiede attenzione, ascolto, tempo.
Un tempo diverso da quello a cui siamo abituati. Un tempo umano.
Bentu non è un film per chi cerca la trama. È un film per chi cerca un’esperienza.
Un’immersione lenta in un mondo che scompare, ma che ha ancora qualcosa da dire. Con la sua dignità, con la sua terra, con il suo vento che – forse – non arriverà mai.