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28 anni dopo: recensione del sequel di Boyle tra horror, riflessione e adrenalina

  • Categoria dell'articolo:Recensioni film

Torna la saga iniziata da Danny Boyle nel 2002, questa volta in un’Inghilterra cronicamente devastata da un’epidemia che dura ormai da 28 anni. Lo stile visivo rimane potente e incalzante, ma stavolta il ritmo lascia spazio anche a riflessioni su famiglia, isolamento e persino resistenza culturale. Non è più solo una corsa contro il tempo e gli infetti: è un viaggio che racconta come sopravvivere ci trasformi profondamente.

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Un “film di formazione” in mezzo all’apocalisse

La storia si concentra su Spike, ragazzino cresciuto su un’isola comunitaria che decide di inoltrarsi sul continente per cercare aiuto per la madre malata. Questo viaggio diventa il cuore del film, un moderno percorso di crescita costellato di tensione, scelte morali e scontri brutali. La relazione con il padre e la malattia di lei aggiungono spessore emotivo a una cornice altrimenti dominata da caos e violenza.

Il cast tiene alto il livello

  • Alfie Williams (Spike) è un protagonista credibile, capace di reggere sulle spalle temi delicati come la perdita, la speranza e la rabbia.

  • Aaron Taylor-Johnson (Jamie) incarna l’idealismo sacrificato nel nome dell’amore paterno.

  • Jodie Comer dà corpo alla madre Isla, malata e determinata, figura centrale del percorso emotivo legato al figlio.

  • Ralph Fiennes spicca come dottore solitario: inquietante e autentico, è lui che con le sue ossessioni rende il film memorabile.

Cosa funziona

  • Atmosfera autentica e violenta: sangue, sudore e paesaggi desolati incontrano la fotografia tagliente e un montaggio capace di alternare caos e poesia.

  • Spessore emotivo: le dinamiche famigliari aggiungono profondità, trasformando lo zombie-movie in un dramma umano.

  • Rilettura sociale: il film riflette sull’Inghilterra post-Brexit e post-pandemia, trasformando l’apocalisse in allegoria collettiva, tra paure reali e resistenza culturale.

Dove inciampa

  • Tono altalenante: a volte la narrazione passa da momento di grande intensità a scene più dilatate che rallentano il flusso.

  • Finale aperto: il film chiude col fiato sospeso, senza una vera conclusione, puntando esplicitamente a un sequel – cosa che potrebbe lasciare insoddisfatti.

  • Incerta coerenza narrativa: qualche sbavatura nella sceneggiatura rischia di frenare l’impatto emotivo nei momenti più quieti.

Bilancio finale

28 anni dopo è un sequel coraggioso che sposta lo sguardo da una pura carneficina all’analisi dell’umanità che sopravvive. È un horror sì, ma con uno sguardo lucido sul tessuto sociale e familiare. La violenza è più sporca e cruda, la paura più silenziosa; ma al centro resta il cuore umano, la speranza e il sacrificio.

Per chi si è emozionato con i precedenti capitoli e cerca un brandello di riflessione in più, questo film è una sfida vincente. Se cerchi puro divertimento splatter, potresti rimanere parzialmente deluso.

Il nostro voto

★★★★☆ 4 su 5
Un horror post-apocalittico di grande personalità, che trasforma violenza e morte in materia per riflettere su noi stessi.

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