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Lezioni di persiano – Sopravvivere inventando parole

  • Categoria dell'articolo:Recensioni film

Nel caos della Seconda guerra mondiale, tra campi di concentramento e umanità annientata, Lezioni di persiano trova un modo diverso per raccontare l’Olocausto: attraverso una lingua che non esiste, creata per tenere in vita la speranza, un legame e una bugia.

Diretto da Vadim Perelman (già regista de La casa di sabbia e nebbia), il film è un dramma storico che mescola tensione, inganno e una struggente riflessione sul linguaggio come mezzo per restare umani.

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Francia, 1942.
Il giovane ebreo Gilles (interpretato da Nahuel Pérez Biscayart) viene catturato dalle SS e condotto in un campo di concentramento. Per salvarsi la vita, afferma di non essere ebreo, ma persiano.
Il comandante del campo, Klaus Koch (Lars Eidinger), sogna di aprire un ristorante in Iran dopo la guerra e chiede a Gilles di insegnargli il persiano.

C’è solo un problema: Gilles non conosce una parola di persiano.
Così inventa una lingua, costruita giorno dopo giorno, memoria dopo memoria.
Ogni parola finta diventa un nome, un volto, un modo per non dimenticare chi è morto.
In quel linguaggio immaginario, sopravvive l’umanità che il campo vuole cancellare.


Temi principali

  • La lingua come salvezza: la parola non è solo comunicazione, è vita, resistenza, memoria.

  • Il potere della menzogna: mentire per sopravvivere, e scoprire che la bugia può diventare più vera della realtà.

  • Disumanizzazione e empatia: anche un carnefice può essere trasformato dal contatto umano, seppure inconsapevolmente.

  • Memoria e identità: inventare un linguaggio è un atto di resistenza contro l’oblio.


Regia, cast e atmosfera

La regia di Perelman è misurata, mai retorica.
La macchina da presa si muove lentamente, con attenzione ai volti, alle mani, agli spazi vuoti.
Lars Eidinger costruisce un comandante credibile, diviso tra ambizione e vulnerabilità; Nahuel Pérez Biscayart è semplicemente straordinario: fragile e determinato, mente e cuore insieme.

La fotografia gioca su toni desaturati, quasi metallici, che amplificano il senso di gelo e distanza. Il contrasto tra la brutalità del campo e la delicatezza del linguaggio inventato è uno dei punti più riusciti.


Cosa funziona e cosa meno

Cosa colpisce Cosa convince meno
Idea geniale e potente: la lingua come mezzo di sopravvivenza e memoria. Alcune sequenze risultano un po’ ripetitive nel ritmo centrale del film.
Interpretazioni straordinarie di Biscayart ed Eidinger. Alcuni personaggi secondari rimangono poco approfonditi.
Regia sobria, mai retorica, che lascia parlare le emozioni. Qualche dialogo suona artificioso nella seconda parte.
Finale di grande impatto emotivo e simbolico. Non tutti apprezzeranno il tono lento e contemplativo.

Voto finale

8,7 / 10
Lezioni di persiano è un film che parla piano, ma lascia un’eco lunga.
Un dramma intimo e universale, che usa l’invenzione linguistica come metafora di resistenza e memoria.
Non ha bisogno di mostrare la violenza per farne sentire il peso: basta la parola, o meglio, l’invenzione di una parola.


In sintesi

Non è solo un film sull’Olocausto, ma sul potere della comunicazione, dell’immaginazione e della memoria.
In un’epoca in cui tutto può essere dimenticato o manipolato, Lezioni di persiano ricorda che inventare un linguaggio può significare inventarsi una vita.

Un film che non urla, ma insegna.
E che dimostra come, a volte, la verità si può dire anche mentendo.