C’è un odore di pioggia e di ruggine nelle strade di Derry. È il 1962, e la città sembra dormire placida, con i suoi marciapiedi lucidi e le famiglie perfette immortalate nei cataloghi dell’America benestante.
Ma sotto quella superficie — lo sappiamo — qualcosa ribolle. Ed è pronto a risalire.
Dopo due film che hanno riportato in auge l’incubo di Pennywise, la HBO scommette su una serie prequel che ne racconta le origini: chi era, da dove viene, e perché Derry sembra un pozzo nero che non smette mai di partorire orrori.
Welcome to Derry non è solo un racconto del male: è una lente sulla paura collettiva, sui silenzi di una comunità e su un’America che preferisce voltarsi dall’altra parte.
Disponibile in streaming su Altadefinizione.
Il cuore della storia
Protagonisti sono i coniugi Hanlon (Jovan Adepo e Taylour Paige) e il figlio Will, appena trasferiti in città. Il sogno americano si infrange subito: bambini scomparsi, voci nei tombini, visioni di clown che nessuno ammette di vedere.
In parallelo, un gruppo di adolescenti locali inizia a connettere gli indizi — e con essi il sospetto che qualcosa di antico si stia risvegliando sotto la città.
La serie alterna quotidiano e orrore, costruendo tensione più con l’atmosfera che con i “jump scare”: ogni sorriso, ogni risata di troppo, diventa sospetto.
Pennywise prima di Pennywise
Bill Skarsgård torna in scena con una prova meno teatrale e più disturbante: il suo Pennywise non è ancora il demone-showman dei film, ma una presenza larvale, quasi un’ombra che infetta la mente.
L’orrore qui non esplode, striscia. E questo rende Welcome to Derry più vicino a un thriller psicologico che a un horror d’effetto.
La regia di Andy Muschietti gioca su contrasti e ritmo lento: colori pastello in superficie, oscurità viscosa nei sotterranei. Ogni inquadratura sembra dire che il vero mostro non è quello che ride, ma quello che osserva e tace.
Perché funziona (e perché no)
| ✅ Cosa colpisce | ❌ Cosa zoppica |
|---|---|
| Atmosfera da incubo suburbano: Derry è viva, credibile e malata. | Il ritmo iniziale è troppo cauto: servono due episodi per sentire la morsa dell’horror. |
| Pennywise reinterpretato con sottigliezza e inquietudine. | Alcune storyline secondarie si perdono, soprattutto quelle legate ai ragazzi. |
| L’elemento sociale (razzismo, ipocrisia, paura collettiva) aggiunge profondità. | Rischia di spiegare troppo sulle origini del male, togliendo parte del mistero. |
| Fotografia, costumi e colonna sonora evocano perfettamente gli anni ’60. | Non tutti gli episodi mantengono la stessa tensione: la qualità è altalenante. |
Giudizio finale
Voto: 8 / 10
Welcome to Derry non è una copia dei film, ma un’estensione più lenta e viscerale del loro universo.
È una storia sul male che cresce insieme al silenzio, su come le città — e le persone — diventino complici dei propri incubi.
Forse non spaventa come ci si aspetta, ma inquieta a lungo, e quando la risata di Pennywise si spegne, resta un retrogusto amaro: quello di una paura troppo familiare per essere solo finzione.