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IT: Welcome to Derry (serie 2025) – Il ritorno di Pennywise e la nascita del male

C’è un odore di pioggia e di ruggine nelle strade di Derry. È il 1962, e la città sembra dormire placida, con i suoi marciapiedi lucidi e le famiglie perfette immortalate nei cataloghi dell’America benestante.
Ma sotto quella superficie — lo sappiamo — qualcosa ribolle. Ed è pronto a risalire.

Dopo due film che hanno riportato in auge l’incubo di Pennywise, la HBO scommette su una serie prequel che ne racconta le origini: chi era, da dove viene, e perché Derry sembra un pozzo nero che non smette mai di partorire orrori.
Welcome to Derry non è solo un racconto del male: è una lente sulla paura collettiva, sui silenzi di una comunità e su un’America che preferisce voltarsi dall’altra parte.

Disponibile in streaming su Altadefinizione.

Il cuore della storia

Protagonisti sono i coniugi Hanlon (Jovan Adepo e Taylour Paige) e il figlio Will, appena trasferiti in città. Il sogno americano si infrange subito: bambini scomparsi, voci nei tombini, visioni di clown che nessuno ammette di vedere.
In parallelo, un gruppo di adolescenti locali inizia a connettere gli indizi — e con essi il sospetto che qualcosa di antico si stia risvegliando sotto la città.
La serie alterna quotidiano e orrore, costruendo tensione più con l’atmosfera che con i “jump scare”: ogni sorriso, ogni risata di troppo, diventa sospetto.


Pennywise prima di Pennywise

Bill Skarsgård torna in scena con una prova meno teatrale e più disturbante: il suo Pennywise non è ancora il demone-showman dei film, ma una presenza larvale, quasi un’ombra che infetta la mente.
L’orrore qui non esplode, striscia. E questo rende Welcome to Derry più vicino a un thriller psicologico che a un horror d’effetto.
La regia di Andy Muschietti gioca su contrasti e ritmo lento: colori pastello in superficie, oscurità viscosa nei sotterranei. Ogni inquadratura sembra dire che il vero mostro non è quello che ride, ma quello che osserva e tace.


Perché funziona (e perché no)

✅ Cosa colpisce ❌ Cosa zoppica
Atmosfera da incubo suburbano: Derry è viva, credibile e malata. Il ritmo iniziale è troppo cauto: servono due episodi per sentire la morsa dell’horror.
Pennywise reinterpretato con sottigliezza e inquietudine. Alcune storyline secondarie si perdono, soprattutto quelle legate ai ragazzi.
L’elemento sociale (razzismo, ipocrisia, paura collettiva) aggiunge profondità. Rischia di spiegare troppo sulle origini del male, togliendo parte del mistero.
Fotografia, costumi e colonna sonora evocano perfettamente gli anni ’60. Non tutti gli episodi mantengono la stessa tensione: la qualità è altalenante.

Giudizio finale

Voto: 8 / 10

Welcome to Derry non è una copia dei film, ma un’estensione più lenta e viscerale del loro universo.
È una storia sul male che cresce insieme al silenzio, su come le città — e le persone — diventino complici dei propri incubi.
Forse non spaventa come ci si aspetta, ma inquieta a lungo, e quando la risata di Pennywise si spegne, resta un retrogusto amaro: quello di una paura troppo familiare per essere solo finzione.