Tratta dal romanzo di Walter Tevis, La regina degli scacchi racconta la storia di Beth Harmon (Anya Taylor-Joy), orfana cresciuta in un istituto negli anni ’50, che scopre il proprio talento prodigioso per gli scacchi grazie al custode dell’orfanotrofio. Da quella stanza buia e silenziosa inizia un viaggio che la porterà a sfidare i più grandi maestri del mondo.
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La serie di Scott Frank è molto più di un racconto sportivo: è una parabola sull’ossessione, la solitudine e il prezzo del genio. Ogni vittoria di Beth è anche una perdita, ogni mossa sulla scacchiera un passo dentro se stessa. Infatti, il suo percorso di crescita è tanto interiore quanto competitivo: lottare contro l’alcool, i fantasmi dell’abbandono e l’incapacità di accettare aiuto diventa la sua vera partita.
Strategia e fragilità
Anya Taylor-Joy dà vita a una protagonista magnetica, sospesa tra controllo e fragilità. La sua interpretazione è tanto cerebrale quanto emotiva: uno sguardo può dire più di mille battute. Insieme a lei, il cast secondario — da Thomas Brodie-Sangster a Marielle Heller — contribuisce a rendere il racconto credibile e profondo.
Inoltre, la regia di Scott Frank trasforma gli scacchi in puro cinema. Attraverso montaggi rapidi, inquadrature simmetriche e un uso intelligente del suono, la serie riesce a rendere dinamico uno sport apparentemente statico. Le partite diventano veri duelli mentali, coreografie della mente.
Tuttavia, La regina degli scacchi non rinuncia all’intimità: alterna momenti di tensione ad altri di vulnerabilità sincera. E proprio questa alternanza la rende universale — chiunque abbia inseguito un sogno troppo grande si riconosce in Beth.
Oltre il gioco
Uno dei punti di forza della serie è la capacità di fondere estetica e psicologia. L’ambientazione anni ’60 è curata in ogni dettaglio: costumi, musiche, luci, design raccontano un’epoca di trasformazione culturale e femminile.
Inoltre, la serie parla di emancipazione senza proclami. Beth conquista spazi che le vengono negati non per ideologia, ma per necessità. Ogni mossa sulla scacchiera diventa un atto di libertà, ogni sconfitta una lezione di umiltà.
Eppure, La regina degli scacchi resta anche un racconto malinconico: mostra che il talento non basta a salvarci da noi stessi. Ma forse, imparare a condividere il gioco con gli altri è la vera vittoria.
✅ Pro & ❌ Contro
| ✔️ Punti di forza | ❗ Limiti |
|---|---|
| Interpretazione magnetica di Anya Taylor-Joy | Alcuni momenti prevedibili sul finale |
| Regia elegante e montaggio brillante | Ritmo più lento nei primi episodi |
| Estetica anni ’60 impeccabile | Pochi personaggi secondari approfonditi |
| Metafora potente su talento e solitudine | Leggera idealizzazione del successo finale |
Valutazione: ★★★★★ (5/5)