Raccontare il potere senza celebrarlo. Ritrarre una figura storica ingombrante senza ridurla a macchietta.
M. Il figlio del secolo riesce in entrambe le imprese con una lucidità spiazzante.
La serie non è solo una cronaca dell’ascesa di Benito Mussolini: è un’indagine sulle radici del consenso, sulla fragilità della democrazia, sulla costruzione del mito attraverso il linguaggio e l’immagine.
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Un protagonista inquieto, tra rabbia e carisma
Il cuore pulsante del racconto è la figura di Mussolini, interpretata con forza e sfumature da un protagonista che ne esplora tutte le ambiguità: l’ambizione, la teatralità, il cinismo strategico, ma anche la solitudine e la nevrosi del controllo.
La serie non si limita a mostrarne i gesti e le parole, ma cerca di penetrare l’intenzione, il modo in cui un uomo mediocre può cavalcare un’epoca e riscriverla a proprio vantaggio.
Un linguaggio visivo audace e consapevole
La regia non ha paura di osare. Le scelte estetiche sono precise, fredde, talvolta disturbanti. I toni cupi, le inquadrature statiche e simmetriche, la colonna sonora inquieta: tutto contribuisce a creare un’atmosfera sospesa tra dramma storico e thriller politico.
La messa in scena trasmette un senso costante di inquietudine, come se ogni parola pronunciata potesse avere conseguenze irreversibili. È un linguaggio che mette lo spettatore a disagio, e lo fa volutamente.
Storia come specchio del presente
Pur trattando eventi di un secolo fa, la serie ha uno sguardo puntato sul presente.
Non perché voglia forzare paragoni, ma perché ricorda come la costruzione del potere passi sempre dalla narrazione, dalla propaganda, dalla paura e dall’adulazione.
La forza della serie sta nel non moralizzare. Non cerca di spiegare tutto, non assolve né condanna. Mostra. Lascia spazio. E proprio in quel vuoto narrativo chiede allo spettatore di pensare.
Un racconto politico, non ideologico
M. Il figlio del secolo è politico nel senso più profondo del termine: racconta come si forma un regime, come si piegano le regole, come si addormenta l’opinione pubblica.
Non c’è bisogno di retorica. Bastano i fatti, messi uno dopo l’altro, con la lentezza e la chiarezza di chi non vuole dimenticare.
M. Il figlio del secolo è una serie che lascia il segno.
Per la qualità della scrittura, la regia consapevole, la prova attoriale intensa.
Ma soprattutto perché riesce a far riflettere sul nostro tempo raccontandoci il passato. Senza scorciatoie. Senza semplificazioni. Con onestà.