Quando annunci l’arrivo di una nuova serie su Sandokan, tocchi un monumento.
Sergio Leone, la TV italiana degli anni ’70, l’immaginario collettivo, la giungla, le tigri, l’eroe ribelle, il fascino esotico: tutto questo pesa sulle spalle di chiunque osi rifarlo.
Netflix (o la produzione) non ha avuto paura e ha puntato fortissimo sul nome che più divide e più attira nel panorama pop attuale: Can Yaman.
Il risultato è una serie visivamente moderna, piena di colori tropicali, duelli, sabbia, mare e romanticismo.
Un prodotto che vuole essere internazionale, che prova a prendere il mito originale e adattarlo a un pubblico globale.
Non sempre ci riesce, ma quando funziona… funziona davvero.
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Il nuovo Sandokan: fascino, muscoli e tormento
Can Yaman interpreta un Sandokan più giovane, più impulsivo, più rabbioso del classico.
Non è l’eroe “larger than life” perfetto: è un uomo in fuga, ferito, che lotta contro l’occupazione coloniale, contro il suo passato e contro un destino che sembra già scritto per lui.
La serie insiste molto sulle sue zone d’ombra: Sandokan non è solo un pirata-principe, ma un uomo che deve dimostrare continuamente di essere all’altezza del proprio mito.
Yaman mette carisma, presenza fisica, eleganza e una certa vulnerabilità dietro allo sguardo.
A volte eccede, altre sorprende.
Marianna: cuore e motore della storia
Marianna è il vero centro emotivo della serie.
Non più “la perla di Labuan” passiva delle versioni più vecchie, ma una donna moderna, autonoma, determinata, che non viene salvata — partecipa.
La storia d’amore con Sandokan non è semplicemente “destino”: è conflitto, attrazione e scontro culturale.
Ed è una delle parti meglio riuscite.
Produzione e atmosfera
Qui la serie dà il meglio:
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paesaggi tropicali spettacolari
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fotografia calda, avvolgente
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scene d’azione ben girate
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combattimenti rapidi, dinamici
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costumi e scenografie molto curate
C’è davvero la sensazione di trovarsi in un’avventura classica, ma filmata con mezzi moderni.
Dove la serie inciampa
La sceneggiatura non è sempre all’altezza dell’ambizione visiva:
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alcune puntate rallentano troppo
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i dialoghi oscillano tra epico e soap
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certi personaggi sembrano introdotti e poi dimenticati
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il tono non è sempre coerente: si passa dall’azione seria al melodramma romantico senza vere transizioni
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la profondità politica della storia originale è un po’ semplificata
La serie vuole parlare a tutti: e quando cerchi di parlare a tutti, rischi di non parlare davvero a nessuno.
Valutazione finale
Sandokan (2025) è un prodotto coraggioso, ambizioso, spettacolare a tratti, imperfetto in altri.
È il tentativo di riportare in vita un mito difficile da aggiornare, con una cura scenica notevole e qualche incertezza narrativa.
Can Yaman regge il ruolo con carisma e intensità: non farà dimenticare la versione storica, ma costruisce un Sandokan nuovo, più emotivo, più aggressivo, più tormentato.
Non è un capolavoro.
Non è un disastro.
È un’avventura moderna che, se ami il personaggio o l’attore, vale sicuramente il viaggio.
Voto: 7 / 10
Pro e Contro
| Pro | Contro |
|---|---|
| Can Yaman carismatico e fisicamente credibile | Sceneggiatura irregolare |
| Atmosfera tropicale spettacolare | Dialoghi a volte troppo semplici |
| Azione ben coreografata | Tono oscillante tra epico e melodramma |
| Marianna finalmente personaggio forte | Alcune puntate lente |
| Produzione visiva di livello | Manca profondità politica |
Curiosità
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La produzione ha voluto un Sandokan più vicino ai romanzi di Salgari: giovane, furioso, ribelle.
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Molte scene d’azione sono state girate con stunt reali, non solo CGI.
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Yaman ha seguito un training fisico e marziale specifico per il ruolo.
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La serie apre chiaramente alla possibilità di una seconda stagione.