Tornare dopo sette anni con un sequel non è mai facile.
Un altro piccolo favore arriva su Prime Video con la promessa di riprendere la scia elegante e pungente del primo film, mescolando glamour, mistero e umorismo nero. Il risultato, però, è un esercizio stilistico interessante solo a tratti, che fatica a trovare un tono stabile.
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Quando lo stile non basta a sostenere la trama
L’ambientazione è mozzafiato. Il passaggio dall’America suburbana alla Capri da cartolina dona un respiro visivo notevole. Il problema è che la trama non riesce a tenere il passo.
Quello che parte come un noir patinato degenera presto in una giostra di trovate forzate, colpi di scena poco credibili e una scrittura che sembra voler sorprendere a tutti i costi, dimenticandosi dell’equilibrio.
C’è la sensazione costante che ogni scena debba stupire, ma raramente lo fa con intelligenza. Il gioco di doppi e inganni che funzionava nel primo capitolo si fa qui più meccanico, meno elegante. E alla lunga, stanca.
Il ritorno di Anna Kendrick e Blake Lively
Le due protagoniste ritrovano una certa chimica, anche se la dinamica tra Stephanie e Emily sembra in parte logorata.
Anna Kendrick regge bene il ruolo della vlogger impacciata diventata detective improvvisata: il suo personaggio ha almeno un’evoluzione interna, pur rimanendo sopra le righe. Blake Lively, invece, appare più manierata, meno incisiva rispetto alla versione spietata e ambigua che l’aveva resa memorabile nel primo film.
Le loro interazioni, un tempo cariche di tensione sottile e sarcasmo ben calibrato, qui virano troppo spesso verso la parodia involontaria. Una scelta di scrittura che penalizza entrambe.
Tra eleganza estetica e caos narrativo
L’estetica del film resta il suo punto più forte: costumi impeccabili, inquadrature raffinate, una fotografia che valorizza ogni scorcio dell’isola italiana.
Ma la confezione non basta. Se dietro al design non c’è un impianto narrativo solido, lo stile rischia di diventare puro esercizio decorativo. E in Un altro piccolo favore, purtroppo, questa sensazione emerge fin troppo spesso.
Un sequel che dimentica cosa aveva funzionato
Il primo film aveva saputo sorprendere con il suo equilibrio tra ironia tagliente e atmosfera dark. Questo seguito sembra invece ossessionato dal voler fare di più, essere più folle, più sopra le righe — perdendo per strada ciò che lo aveva reso efficace.
Il tono si fa incerto: né commedia nera né vero thriller, con momenti di pura farsa che cozzano con le ambizioni narrative. L’effetto è quello di un gioco che si prende troppo poco sul serio per funzionare davvero, ma troppo sul serio per essere divertente.
Un altro piccolo favore è un sequel che aveva potenziale ma finisce per inciampare nella sua stessa ambizione.
Non mancano momenti divertenti, né una certa cura estetica. Ma alla fine, resta l’impressione di un ritorno riuscito a metà, con più fumo che sostanza.