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Creed III: il ring diventa confessionale

  • Categoria dell'articolo:Recensioni film

Adonis Creed ha tutto: fama, soldi, una famiglia che lo ama. Eppure, non è in pace. C’è una parte di lui che è rimasta indietro, incastrata in un’infanzia difficile e in un’amicizia spezzata. Ed è proprio da quel passato che riemerge Damian, ex promessa del ring, vecchio amico con il dente avvelenato e un solo obiettivo: riprendersi ciò che gli è stato tolto. Anche con la forza.

In Creed III non si parla solo di pugni. Si parla di colpa, di orgoglio, di quanto sia difficile guardare in faccia le proprie cicatrici, anche quando si è campioni del mondo. E per la prima volta nella saga, il nemico non è solo l’uomo dall’altra parte del ring, ma la parte più nascosta di sé stessi.

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Il debutto di Michael B. Jordan alla regia

Michael B. Jordan non si limita più a vestire i guantoni: in questo terzo capitolo, debutta anche dietro la macchina da presa. E lo fa con sorprendente sicurezza. Le sequenze di combattimento sono girate con uno stile quasi anime, ipercinetico e dettagliato, con un uso creativo della messa a fuoco e della soggettiva.

Ma è nella gestione dei silenzi, degli sguardi, delle pause emotive che Jordan mostra davvero di avere qualcosa da dire. La sua regia è personale, sentita, quasi confessionale. E regala al film un tono più intimo, meno epico, ma forse proprio per questo più vero.

Jonathan Majors: un avversario con spessore

A rendere tutto ancora più avvincente ci pensa Jonathan Majors, che nel ruolo di Damian offre una performance magnetica. Non è il classico villain da odiare. È un uomo spezzato, mosso da rabbia ma anche da dolore. E nel momento in cui sale sul ring contro Adonis, è impossibile non provare empatia per entrambi.

Il loro scontro è carico, non solo fisicamente ma emotivamente. È come assistere a due fratelli che si affrontano per chiudere un cerchio. Con ogni colpo, ci si avvicina a una resa dei conti interiore, più che sportiva.

La boxe come metafora di redenzione

Come da tradizione, la boxe in Creed III è molto più di uno sport. È terapia, è sfogo, è linguaggio emotivo. Le scene sul ring sono meno realistiche e più simboliche, quasi oniriche, ma funzionano. Perché riescono a raccontare qualcosa che va oltre il sudore e il sangue: il bisogno di lasciar andare ciò che ci tiene ancorati al passato.

Creed III è il capitolo più maturo e personale della saga. Non punta tutto sull’adrenalina del combattimento, ma sulla profondità emotiva dei suoi protagonisti. Michael B. Jordan si prende un rischio, e lo vince. Non solo come attore, ma come regista capace di dare forma a un dramma che si consuma più nella mente che sul ring.

Un film che consigliamo a chi cerca storie potenti, autentiche, dove i colpi più duri non vengono sempre dai pugni.

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